Orientalismo eretico: Pier Paolo Pasolini e il cinema del terzo mondo (review)
2008; Johns Hopkins University Press; Volume: 123; Issue: 1 Linguagem: Italiano
10.1353/mln.2008.0058
ISSN1080-6598
Autores Tópico(s)Italian Literature and Culture
ResumoReviewed by: Orientalismo eretico: Pier Paolo Pasolini e il cinema del terzo mondo Stefania Lucamante Luca Caminati. Orientalismo eretico: Pier Paolo Pasolini e il cinema del terzo mondo. Milano: Bruno Mondadori, 2007. In questo brillante, ironico, e profondo studio della produzione orientalista di Pier Paolo Pasolini Luca Caminati ci conduce attraverso il proprio viaggio critico nel mondo ideologico, estetico ed epistemologico del regista friulano. Quella di Caminati costituisce una tappa assai importante per quanto riguarda gli studi pasoliniani soprattutto per via della chiarezza di idee con cui lo studioso si pone rispetto al proprio 'da farsi' critico, un da farsi che apre il panorama degli studi pasoliani ad una prospettiva contemporanea e di necessità post-coloniale. Credo che questo libro rappresenti un esempio degno di essere citato da molti per la sua capacità di raccogliere annotazioni e riflessioni per nulla ovvie ed anzi assai lucide, nonché scevre da allusioni e citazioni eccessivamente esoteriche. Come avverte in proposito Caminati nella sua introduzione, analizzare l'opera di un artista europeo rispetto all'Oriente dopo il ventennio di studi post-coloniali può costituire operazione assai rischiosa. Ma l'Oriente per Pasolini equivale all'alterità in senso totale e non soltanto rispetto alla barbarie del capitalismo occidentale, di cui la palazzina sul costale di Orte si fa per Pasolini metonimia. La palazzina è un prodotto della "modernità forzata italiana" (x). Per Caminati discutere di Pasolini e del suo lavoro significa discutere fondamentalmente del testo e delle modalità compositive che il regista sperimenta nel farsi del primo. Analizzare e discutere come Pasolini utilizza la macchina da presa per stabilire ed orientare il suo sguardo verso un orizzonte che l'artista vuole simultaneamente cogliere come fenomeno espressivo ed estetico (si può forse dubitare della bellezza di Orte oppure di Sana'a?) e come fenomeno antropologico. Un "paese da laboratorio" è infatti l'Italia per Pasolini. Ma il mondo intero non è altro che un grande strumento di ricerca. Un viaggio a New York diventa per Pasolini una scoperta del Mondo Nuovo e delle sue contraddizioni: "cercando l'America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi" ma sapendo al tempo stesso riconoscere in New York "una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia" Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude (Milano: Mondadori, 1999 [1597–98]). Capire l'altro, vedere [End Page 192] l'alterità diventa una ricerca ossessiva per il regista che spiega le modalità del suo intervento in un passo assai famoso delle Lettere luterane. Orientalismo eretico è diviso in quattro capitoli, il primo dei quali, "Il primo calco della superficie esterna" traccia brevemente la storia della tradizione orientalista in Italia e come i viaggiatori italiani interpretano la parola "Oriente"—come fine dell'avventura coloniale europea e l'emergere di nuove realtà politiche, che spinge secondo Caminati "anche il meno engagé degli autori a un piccolo esame di coscienza" (14). Il primo capitolo getta le basi degli spunti teorici per l'analisi di quello che rimane il nodo focale dell'approccio pasoliniano all'Oriente: la problematica legata al passaggio dalla parola all'immagine. L'atteggiamento classico dell'artista europeo rispetto al perturbante postcoloniale consiste solitamente nell'avanzare la possibile soluzione a delle problematiche altre, da cui emergono due modi di risposta: normalizzazione mediante stereotipi del panorama che il paese "esotico" gli prospetta, oppure rappresentazione mitica e mistica. Lo "spaesamento" pasoliniano trova quindi forti motivazioni nello studio di una cultura altra, come altro, d'altronde, l'artista si è sempre rispetto alla cultura (di qualunque ideologia) nel proprio paese. Per Caminati L'odore dell'India rappresenta il sintomo della crisi intellettuale di Pasolini, una crisi filosofica di quegli anni di passaggio dal messaggio verbale a quello cinematografico (e relativa elaborazione di una grammatica del cinema) in cui emerge il sentire. Rivelatrice (o scatenante) di questa crisi risulta allora l'insufficienza della lingua a spiegare le sensazioni prodotte da questo paese, per cui spesso Pasolini deve ricorrere a banalità espressive. La vista prevale su tutti i sensi. Il proprio essere insufficiente dinnanzi alle immagini, il non poterle commentare adeguatamente con la parola porterà Pasolini a intraprendere un altro viaggio in India nel 1967. Per Caminati gli interrogativi...
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