"Forza lirica" e mondo dis-umano: Tre croci di Federigo Tozzi
1997; Johns Hopkins University Press; Volume: 112; Issue: 1 Linguagem: Italiano
10.1353/mln.1997.0009
ISSN1080-6598
Autores Tópico(s)Italian Fascism and Post-war Society
Resumo“Forza lirica” e mondo allegorico: Tre croci di Federigo Tozzi Matteo Palumbo 1. Tozzi procedette alla composizione di Tre croci come al solito in modo velocissimo. In sedici giorni, tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1918, stese di getto, in un manoscritto con pochissimi segni di cancellatura, 1 la storia dei fratelli Gambi e del loro fallimento. Rispetto a un Tozzi lirico ed espressionista, geniale eversore delle strutture causali e consecutive della macchina naturalista del racconto, questo romanzo, il suo ultimo come ideazione, apparso nel 1920 mentre egli stava morendo, sembrò a molti un ritorno all’ordine, cioè a una norma compositiva organizzata secondo moduli e caratteri di impronta più fedelmente classica e stabilita. Era, secondo il fin troppo noto parere di Borgese, il ritrovamento di una maniera che avrebbe consentito all’autore, se non ci fosse stata la morte immatura, di comporre, come un romanziere epico del XIX secolo, una saga e un ciclo analoghi a quelli di Balzac o di Zola, se non di Verga, l’altro grande nume dell’universo borgesiano. Certo è che il romanzo di Tozzi, a distanza di più di 70 anni dalla sua pubblicazione, continua a essere osservato con sospetto, come un oggetto ambiguo, indefinibile, in cui l’impostazione sembra andare in un verso e l’idea, il tema, [End Page 57] sembrano andare in un altro. Anche Giacomo Debenedetti, il critico che più di ogni altro negli anni ‘60 ha contribuito alla riscoperta di Tozzi, parlava di Tre croci come di uno “splendido passo indietro,” 2 anche se poi indicava tutte le ragioni che consentivano di inscrivere quell’opera all’interno della crisi del naturalismo, e di non considerarla come una sua ripresa intempestiva e cauta. Egli parlava infatti di un “romanzo che è tutta un’operazione sui simboli che si ignorano, non sanno di essere tali, imprigionano in sé il rintocco verso la direzione allusiva, significante”; “è come se vedessimo sonare un’orchestra di cui non udiamo il suono attraverso l’aria trasparente e che dovrebbe essere conduttrice, mentre sulla scena i personaggi del melodramma si muovono, parlano, soffrono, mossi dal drammaticissimo flusso sinfonico di quell’orchestra. Il romanzo è in quei tentacoli che legano il visibile, la scena diurna all’emisfero d’ombra; sfuggono allo sguardo, ma esercitano la loro azione. E per questa azione il breve dramma naturalistico e piccolo-borghese [...] si infoltisce di una tragedia psicologica che trova la sua catarsi, la sola possibile, nella distruzione e nella morte.” 3 Non diversamente, con una valutazione altrettanto cauta, anche se per ragioni diverse, si muove Luigi Baldacci, che ritrova nel romanzo l’illustrazione di una religiosità estrinseca, sovrapposta alle pulsioni devastanti dell’anima e antitetica al nihilismo istintivo e senza illusioni dell’autore di Con gli occhi chiusi. 4 Da ultimo Romano Luperini, pur negando che il romanzo in questione testimoni una “restaurazione” e sostenendo che vada anch’esso, come gli altri, assunto a indice di un “modulo nuovo, novecentesco, capace di conciliare durata, flusso narrativo, strutturazione romanzesca con l’esigenza di esprimere la logica dell’inconscio e le sue spinte centrifughe,” 5 non può esimersi dal giudicarlo “non all’altezza” delle opere precedenti. 6 [End Page 58] Dappertutto sembra doversi registrare l’imbarazzo di un confronto con le prime prose (Bestie e Con gli occhi chiusi), facilmente assorbibili sotto la categoria di espressionismo, e perciò più immediatamente vicine a una tipologia anti-naturalistica. Val la pena comunque di ricordare che per Tozzi ogni romanzo doveva costituire una nuova esperienza, un esperimento inedito e originale, e richiedeva “dallo scrittore sempre una nuova attenzione creativa, sempre una nuova volontà, non compromessa; senza potersi servire di quell’abilità che cresce a forza di adoperarla, divenendo come una falsariga comoda e liscia” (CP 333). In questo senso Tre croci va letto come un modo variato di risolvere quello che resta lo stesso permanente problema: dare forma alla dimensione misteriosa ed elusiva delle cose, mettere in scena (come Tozzi stesso scrive in un articolo su Pirandello estremamente importante) “un mondo di cattivi, di pazzi e di malati,” in cui “è naturale che i contenti siano pochi e che la morte sia sempre vicina” (PC 274). La difficoltà piuttosto sta nell’intendere come questo...
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