Sebastiano del Piombo e Tommaso Laureti
2012; Taylor & Francis; Volume: 81; Issue: 4 Linguagem: Italiano
10.1080/00233609.2012.744348
ISSN1651-2294
Autores Tópico(s)Architecture and Art History Studies
ResumoClick to increase image sizeClick to decrease image size Notes 1. G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, ed. 1568, Vita di Sebastian Viniziano: »Stettono con Sebastiano in diversi tempi molti giovani per imparare l'arte, ma vi feciono poco profitto, perché dall'essempio di lui impararono poco altro che a vivere, eccetto però Tommaso Laureti, ciciliano, il quale, oltre a molte altre cose, ha in Bologna con grazia condotto in un quadro una molto bella Venere e Amore che l'abbraccia e bacia. Il qual quadro è in casa di messer Francesco Bolognetti. Ha fatto parimente un ritratto del signor Bernardino Savelli, che è molto lodato, et alcune altre opere delle quali non accede far mentione«. La notizia è molto interessante perché indica che gli esordi di Laureti furono come pittore mitologico e di ritratti, sulla linea quindi dell'ossequio più stretto a Sebastiano al di fuori della attività del maestro veneziano come pittore della incombente controriforma, di cui però Laureti fu esponente di primissimo piano. 2. Gli affreschi della sala dei capitani furono commissionati a Laureti nel 1586 ma condotti a termine solo entro il 1594. Le grandi e complesse scene, tra le più ragguardevoli dell'intera cultura figurativa dell'ultimo decennio del Cinquecento, raffigurano la Giustizia di Bruto, la Vittoria del lago Regillo, Muzio Scevola e Porsenna, Orazio Coclite sul ponte Sublicio. Sono dunque opere di esaltazione dell'arte della guerra con componenti ancora tibaldiane (Laureti, pur nato a Palermo intorno al 1530, si può considerare di formazione sostanzialmente bolognese e Pellegrino Tibaldi fu per lui, dopo la lezione di Sebastiano, il maestro di riferimento sia nel campo della pittura, sia in quello dell'architettura) e raffaellesche, e nello stesso tempo esemplificative dalla vastissima dottrina archeologica e filologica del pittore (i dati essenziali in C. Pietrangeli, La sala dei Capitani, in »Capitolium« XXXVII, 1962 pp. 640–648). 3. Le notizie furono raccolte da L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del medioevo, ed. Roma 1925–1934, IX, 921–922. Nella Sala di Costantino, Laureti eseguì, con numerosi collaboratori tra cui è certa la presenza del bolognese Antonio Scalvati (pittore altrimenti noto soprattutto come ritrattista), una serie di figure allegoriche delle Regioni d'Italia e delle Parti del Mondo, secondo un complesso programma iconografico culminante nella volta dove è raffigurata la Vittoria della Fede sull'idolatria pagana, un'impostazione già parzialmente espressa nella chiesa di San Luigi dei Francesi da Jacopino del Conte (la statua pagana spezzata che giace a terra) nella pala d'altare raffigurante, appunto, s. Luigi di Francia che abbatte gli idoli pagani. Il fatto è significativo considerando l'altro grande filone di ispirazione per la poetica del Laureti che è quello proveniente dal grande manierismo fiorentino di Pontormo, Jacopino del Conte, Battista Franco (veneto come Sebastiano del Piombo ma profondamente coinvolto con il manierismo romano degli anni ‘30 e ‘40) e Francesco Salviati. Opera di immensa dottrina prospettica e di acutissimo senso spaziale, è un lavoro che attesta la vastità di interessi (anche architettonici) del Laureti. Sugli affreschi della sala di Costantino è iscritta la data 1585, il che potrebbe ambiguamente attestare la volontà del Laureti di incardinare il lavoro all'epoca del suo grande protettore Gregorio XIII, scomparso nell'aprile di quell'anno, mentre è probabile che i lavori venissero completati sotto Sisto V. Laureti restò devotissimo a Gregorio XIII che lo aveva fatto venire a Roma da Bologna (il pontefice era bolognese) proprio per completare la Sala di Costantino. Il suo zelo verso il papa Boncompagni giunse forse fino al punto di manomettere le date di alcuni suoi lavori come attesta Giovanni Baglione nelle Vite de’ pittori, scultori e architetti, Roma 1642, nella Vita di Tommaso Laureti, p. 72: »venuto a Roma fu nobilmente accolto in palazzo e buona provvisione assegnatagli, e conforme la qualità di lui concedutagli per per sé, e per suoi servidori, ed anche cavalcatura, e fu trattato come un principe«. Ma era lento, e così alcuni lavori cominciati sotto Gregorio furono terminati nel pontificato successivo e »in alcune opere sotto Sisto V fatte vi pose l’ impresa di Gregorio XIII«, così »non solo non fu pagato come sperava ma gli furono minutamente messe in conto tutte le provvisioni«, tanto che le sue fortune anche economiche cominciarono a declinare, portandolo a uno stato di relativa indigenza in cui trascorse i suoi ultimi anni, il che potrebbe, almeno in parte, spiegare il precoce oblio in cui la sua figura cadde fino a entrare in un cono d'ombra che soltanto la storiografia più recente ha cominciato a diradare. 4. Baglione attesta chiaramente che Laureti »fu il secondo principe dell'Accademia romana« quindi è lecito considerarlo vicinissimo a Zuccari. In particolare Laureti fu docente di prospettiva secondo un orientamento che coniugava Pittura e Architettura, in modo organico alle teorie di Federico Zuccari esposte nel trattato L'idea dei pittori, scultori e architetti, in corso di stesura nel momento in cui Laureti esercitava la funzione docente in Accademia e pubblicato a Torino nel 1607 a cinque anni dalla morte del maestro siciliano. 5. Il dipinto a olio su tela, cm. 143×97 reca sul retro il numero di inventario 160 e l'indicazione »Tomasso Laureti«. Il il numero è dell'inventario Aldobrandini del 1603 (conservato presso l'Archivio della Villa Aldobrandini a Frascati) che si può vedere pubblicato, ad es. nel catalogo della mostra a cura di A. Tantillo, Domenichino 1581–1641, Soprintendenza Beni artistici e storici di Roma, Palazzo Venezia, Milano 1996 (saggio di G. Perini), p. 567 ss: »un s. Pietro che risana il storpio, un quadro rotondo in cima di Tomasso Laureti«. Il Baglione attesta che verso la fine della vita Laureti ricevette l'incarico di »dipingere un quadro a s. Pietro dalli prelati della Fabbrica, il fece mettere in ordine, e sul muro fe porre le lavagne, ma per occorrenza di morte non la principiò, e questo fu dal cavalier Cristofaro delle Pomarance preso e concluso«. Il bozzetto del Laureti, dunque di provenienza Aldobrandini e oggi in Vaticano, è opera perfettamente conclusa e concepita in modo analogo al Martirio di Santa Susanna con un punto di fuga lontanissimo e una articolata disposizione dei personaggi sul piano avanzato immersi in un clima notturno ancora evocante le ambientazioni di Sebastiano del Piombo. Sul complesso di Santa Susanna, cfr. A. Zuccari, »Rhetorica christiana« e pittura. Il cardinal Rusticucci e gli interventi di Cesare Nebbia, Tommaso Laureti e Baldassarre Croce nel presbiterio di S. Susanna, in »Storia dell'arte«, 2004, 107, 2004, pp. 37–80. 6. Tommaso Laureti dovette porre mano all’Assunta per San Prospero a Reggio Emilia nel 1600 ma la lasciò largamente incompiuta per il sopraggiungere della morte due anni dopo. Il dipinto è stato restaurato e studiato da A. Mazza che nel 1997 ne ha dato notizia in L'Assunta di Ludovico Carracci e Tommaso Laureti nella basilica di S. Prospero a Reggio Emilia, Ritrovamento e restauro, Fondazione Piero Monodori - Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Modena e Reggio Emilia, Reggio Emilia 1991. La pala fu completata da Ludovico Carracci tanto che è lecito asserire che i soli aspetti rintracciabili della progettualità di Laureti sono limitati agli apostoli prossimi al sepolcro, al centro del quadro, impostati secondo il suo tipico criterio della »dissimmetria ordinata«, cui il resto della pala non obbedisce. 7. Il Martirio di s. Caterina d'Alessadria nella chiesa di Sant'Antonio a Colle Val d'Elsa è documentato come opera di Giovanni Battista Pozzo, ticinese, e Riccardo Sasso, bolognese (cfr. R. Contini, in Colle Val d’ Elsa, Firenze 1992, p. 206–208). L'opera fu eseguita nel 1588 e collaudata da Giacomo Vecchi fiorentino e Tommaso Laureti nel 1589. 8. F. Nicolai, An unknown fresco by Tommaso Laureti in the monastery of Tor de’ Specchi, »The Burlington Magazine«, 153, 2011, 1299, pp. 394–397, ha rintracciato i documenti che provano come Laureti fosse stato incaricato, sul finire del 1600, di eseguire gli affreschi del catino absidale della chiesa di Santa Francesca Romana nell'omonimo complesso di Tor de’ Specchi, con l'immagine di s. Michele Arcangelo che conculca il demonio tra i cori angelici. È evidente negli affreschi una vastissima collaborazione di aiuti e una sostanziale fiacchezza della stesura che fa pensare che Laureti quasi non ponesse mano alla sia pur ragguardevole impresa che risulta a suo nome. 9. L'insieme degli affreschi, tra pareti laterali e catino absidale, della chiesa di San Giacomo in Augusta rappresenta un momento significativo del Giubileo del 1600. Agli affreschi dovettero partecipare vari collaboratori e la qualità dell'insieme è scarsa, ma estremamente interessante è la compresenza in questo notevole complesso di Francesco Nappi e Vespasiano Strada, citati dalle fonti. L'uno, il Nappi, rappresentante di una linea lombarda, naturalistica e manierista insieme, che pochi anni dopo diventerà condizionante per il giovane Giovanni Serodine; l'altro, lo Strada, pittore di origine spagnola e figlio d'arte, espressione di una predominanza nell'ambiente romano di scuole collaterali, come la fiamminga e la spagnola, cui questi pittori afferivano liberi dagli schemi consolidati nell'età sistina (per un chiarimento indispensabile sulla posizione di Francesco Nappi, per certi versi cruciale nella Roma all'aprirsi del secolo diciassettesimo cfr. F. Nicolai, Mecenati a confronto. Committenza, collezionismo e mercato dell’ arte nella Roma del primo Seicento. Le famiglie Massimo, Altemps, Naro e Colonna, Roma 2008, p. 94 e ss.)
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