Artigo Revisado por pares

FLORA E VEGETAZIONE DEL MEDIO ED ALTO APPENNINO ROMAGNOLO

1966; Taylor & Francis; Volume: 21; Issue: 1 Linguagem: Italiano

10.1080/00837792.1966.10669838

ISSN

2169-4060

Autores

Pietro Zangheri,

Tópico(s)

Mycorrhizal Fungi and Plant Interactions

Resumo

RIASSUNTO Questa memoria completa l'illustrazione floristico-fitogeografica della Romagna. Le quattro precedenti prendevano in considerazione il territorio dalla spiaggia adriatica alla fascia rupestre gessoso-calcarea del basso Appennino; la presente si occupa del restante territorio, cioè del medio ed alto Appennino fino alla sommità della catena, fra il Passo della Futa e il M. Maggiore nell'Alpe della Luna. Nel cap. I si premettono alcuni cenni geografici, si ricorda che i suoli appartengono quasi tutti alle terre brune, si fa rilevare la grande estensione occupata da terreni a facilissima erosione, che spesso divengono dei regosuoli, o veri e propri litosuoli. Paseando al clima si nota che la media annua della temperatura sta sui 13° C in basso e scende sugli 8° C circa in alto; le precipitazioni sono di circa 850 mm annui nelle parti inferiori della fascia, salgono a 2000 mm ed oltre sui monti più elevati. I massimi si verificano in autunno e primavera, il minimo in estate. L'escursione fra le medie mensili della temperatura è sui 20° C in basso, sui 18° C in alto. Geologicamente (cap. II) la maggior parte della fascia studiata appartiene al Miocene, costituito dalla cosidetta formazione marnoso-arenacea romagnola che in alto passa al macigno oligocenico. I lati della fascia (val Santerno-Sillaro, val Marecchia) sono occupati dalle argille scagliose alloctone, in mezzo alle quali emergono le rupi di rocce ofiolitiche (val Santerno-Sillaro), o calcareo-arenacee (alta val Savio, val Marecchia). La flora (cap. III-IV) comprende 1200 taxa di vascolari e circa 250 sono le specie elencate di briofite. Lo studio della vegetazione (cap. V-VI) rileva anzitutto la grande estensione della garida (Bromus erectus, Spartium junceum, Arundo plinii ecc.) sul Miocene soggetto alla forte erosione; il bosco climax è il Quercetum pubescentis assai degradato che con le sue digitazioni si spinge fin oltre gli 850–900, dove ha inizio la zona del Faggio. I boschi del Fagetum, spesso degradati, mostrano troppe volte i segni d'un intervento antropico non idoneo. Solo il settore fra M. Falco e il Passo dei Mandrioli (in gran parte occupato dalla Foresta di Campigna) mostra tuttora delle faggete di particolare imponenza, che spesso assumono l'aspetto dell'Abieti-Fagetum integro, naturale. Anche l'Abete è certamente autoctono in questa parte dell'Appennino; le abetine pure attuali sono però tutte artificiali. Nelle parti più integre la faggeta di Campigna presenta l'aspetto delle faggete alpine e medio-europee; la sua flora comprende tutte le specie fedeli al Fagion, mentre vi assume particolare dominanza il Senecio fuchsii. In 13 tabelle sono esposti i risultati di 68 rilevamenti eseguiti nelle faggete ottimali e degradate, in querceti e castagneti, garide, epilobieti, mirtilleti, calluneti, prati-pascoli, nardeti ecc.; una tabella generale dei consorzi chiaramente riconoscibili nel paesaggio fitogeografico della Romagna chiude il cap. VI. Il cap. VII affronta i problemi relativi alla genesi della flora, anzitutto attraverso l'esame della successione floristica, in particolare durante il Quaternario, col sussidio di analisi polliniche in parte inedite, poi si considerano le varie possibili vie d'accesso (dal nord e dal meridione). Si esclude ogni provenienza transadriatica diretta attraverso la supposta terraferma che avrebbe occupato tutto l'Adriatico settentrionale durante l'ultimo glaciale, poichè il prosciugamento dell'Adriatico antistante la spiaggia romagnola è assolulutamente da escludersi per i fenomeni di subsidenza locali. Il capitolo si chiude con un cenno sui due endemismi Arisarum proboscideum e Sisymbrium zanonii e un succinto schema del dinamismo della vegetazione.

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