
Da cosa si riconosce il populismo. Ipotesi semiopolitiche
2018; Issue: 121 Linguagem: Italiano
10.25965/as.5963
ISSN2270-4957
AutoresFranciscu Sedda, Paolo Demuru,
Tópico(s)Political theory and Gramsci
ResumoIntroduzione Che cosa hanno in comune l’elezione di Donald Trump e i consensi ottenuti da Bernie Sanders negli USA, l’impeachment di Dilma Rousseff e l’assunzione, da parte di Michel Temer, della presidenza del Brasile, l’ascesa di Marine Le Pen in Francia, quella del Movimento Cinque Stelle e della Lega di Matteo Salvini in Italia, quella di Podemos in Spagna, la Brexit e le varie “primavere” (arabe, europee, americane) succedutesi negli anni 10 di questo nuovo secolo ? Una cosa di certo : si tratta di fenomeni solitamente intesi ed etichettati da giornalisti, intellettuali e politici come nuovi casi di “populismo”1, termine ombrello che, al di là di un generico riferimento all’idea di “popolo”, spiega poco cosa di fatto si cela dietro ognuno di essi e che cosa li lega uno all’altro. Non è certo nostra intenzione fornire una definizione chiara e coesa di populismo2. Meglio : non ci interessa fornire definizione alcuna — dire che cosa è e cosa non è populismo, chi e chi non è populista. Molto più umilmente, ciò che proponiamo è un’indagine preliminare ed esploratoria su alcuni tratti e alcune dinamiche di fondo che distinguono, a nostro avviso, sotto il profilo semiotico, il “nuovo populismo” di cui oggi tanto si parla. Quel che ci siamo chiesti, non è insomma “che cosa è il populismo ?”, ma — prendendo sul serio il senso comune e socialmente condiviso del termine e muovendo da esso la nostra riflessione — “da che cosa si riconosce o si può riconoscere il populismo ?”. Detto
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