Le «città proibite» di Curzio Malaparte e Alceo Valcini: narrazioni, diffrazioni e rinegoziazioni letterarie del ghetto di Varsavia in due scrittori italiani del dopoguerra
2020; École Normale Supérieure de Lyon Editions; Issue: 24 Linguagem: Italiano
10.4000/laboratoireitalien.4856
ISSN2117-4970
Autores Tópico(s)Italian Fascism and Post-war Society
ResumoLa mattina del 25 gennaio 1942 Curzio Malaparte, impegnato per Il Corriere della Sera in un lungo reportage giornalistico sul fronte orientale, varca la soglia della «città proibita» di Varsavia. Malaparte fu il primo scrittore italiano a compiere una ricognizione personale del più grande dei ghetti ebraici istituiti in Europa orientale: il resoconto letterario di quella esperienza verrà raccolto in una lunga sequenza narrativa di Kaputt, libro pubblicato nel 1944. Malaparte, tuttavia, non fu solo nella sua visita: infatti ad accompagnarlo fu anche un altro giornalista italiano, Alceo Valcini, la cui figura è integralmente rimossa dal racconto di Kaputt. Corrispondente da Varsavia per conto del Corriere, Valcini avrebbe assistito da testimone oculare all'invasione tedesca del 1939, alla successiva occupazione della città e alla rivolta del ghetto ebraico nella primavera del 1943. Le memorie di quegli eventi confluirono in un volume, Il calvario di Varsavia, edito da Garzanti nel 1945 e mai più ristampato in seguito. Il presente contributo intende proporre una lettura selettiva di queste due atipiche narrazioni del ghetto varsaviano, elaborate da autori la cui parabola intellettuale si rivelò oltretutto profondamente compromessa con l'universo ideologico del fascismo.
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