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L'ora di italiano. In ricordo di Luca Serianni (1947–2022)

2022; American Association of Teachers of Italian; Volume: 99; Issue: 2 Linguagem: Italiano

10.5406/23256672.99.2.13

ISSN

2325-6672

Autores

A. Masi,

Tópico(s)

Linguistics, Language Diversity, and Identity

Resumo

Il 21 luglio scorso Luca Serianni ci ha lasciati, vittima di un tragico incidente della strada. La mattina del 18 luglio, uscito di casa di buon mattino è stato investito a Ostia da una macchina guidata ad alta velocità da una donna distratta dal riverbero accecante del sole, almeno stando alla prime versioni che sono circolate sui quotidiani.L'emerito professore dell'Università La Sapienza di Roma, il noto linguista, lo storico tanto apprezzato in Italia e nel mondo, l'illustre accademico della Crusca e dei Lincei, il vicepresidente della Società Dante Alighieri, il consulente della Treccani, lo scienziato della lingua italiana, l'amico di sempre, riposa in pace nel cimitero di Ascoli accanto alle tombe dei suoi genitori.Marchigiano d'origine, Serianni era nato a Roma il 30 ottobre del 1947. Suo padre, un medico, direttore di un istituto di alimentazione e dietologia, amante della letteratura, lo aveva iniziato giovanissimo verso precoci frequentazioni di libri come Pinocchio, I Promessi sposi o Scaramouche di Rafael Sabatini, proseguite dal giovane con romanzi di cappa e spada, “letture coatte che non scatenano fantasia ma creano disciplina”, come aveva affermato lo stesso Luca in un'intervista apparsa su Robinson (supplemento del quotidiano la Repubblica) l’11 giugno di quest'anno.Allievo di Arrigo Castellani, Luca Serianni si era laureato a Roma nel 1970 con una ricerca sul dialetto aretino tra il XIII e il XIV secolo. Castellani, discepolo a sua volta di Bruno Migliorini, era uno studioso dotato di “sistematicità e chiarezza”, ossia l'ideale riferimento per chi, come Serianni, mostrava già un carattere di coerente studioso della disciplina umanistica. Altrettanto accadde con Aurelio Roncaglia, altro polo del suo viaggio nella lingua italiana. Come Castellani, anche quest'ultimo adottava lo stesso metodo: partiva da un testo e, parola per parola, lo spiegava.Tuttavia, oltre che sui libri, Serianni trovò nell'insegnamento la sua vera vocazione. Assistente ordinario nel 1973, ebbe docenze in quasi tutta Italia: nel 1974–75 presso l'Università di Siena (sede di Arezzo), nel 1975–76 all'Aquila e dal 1976 al 1977 e dal 1979 al 1980 a Messina. Divenuto professore ordinario di Storia della lingua italiana all'Università di Roma “La Sapienza”, aveva concluso la sua carriera cinque anni fa con la nomina ad Emerito, circondato dallo straordinario affetto dei colleghi, allievi e discepoli. Tra questi vale ricordare Giuseppe Patota, il suo primo laureato, fedelissimo interprete della sua lezione, autore a sua volta di studi fondamentali sulla grammatica italiana e sulla storia della lingua di Dante.Ma torniamo ancora alla lingua e alla scuola. Nel 2006, per il suo prestigio e le alte competenze scientifiche, era stato nominato dal ministro dei Beni Culturali presidente di una “Commissione tecnica con il compito di procedere ad un complessivo esame del linguaggio e della terminologia in materia di beni e attività culturali e di elaborare relative proposte”. Altrettanto fece nel 2010 per il Ministero dell'Istruzione guidando una “Commissione per la ridefinizione della prova di italiano nell'ultima riforma degli Esami di Stato”. La scuola, i giovani, gli studenti sono stati la sua vera passione, l'obiettivo della sua vita, il fine ultimo di una carriera tutta dedita allo studio e all'insegnamento sentito come una vera e propria missione civile. Al termine della sua carriera, ricorda, “ho chiesto loro—lo riconosco—con una mossa da vecchio retore: ‘sapete che cosa rappresentate per me? Immagino che non lo sappiate’. Voi rappresentate lo stato e confido che questa dichiarazione lasci in voi traccia per il vostro futuro”. Lo Stato e la Costituzione, il costante richiamo all'articolo 54 della Costituzione, per cui il funzionario pubblico chiamato a svolgere il suo lavoro con disciplina e onore, fedeltà al proprio compito, “etica della responsabilità” (Weber), impegno per le istituzioni, coerenza del proprio mandato. Serianni è stato tutto questo ed altro ancora. Non un interesse politico il suo, ma una sorta di senso del dovere e dello Res Pubblica vissuto fino in fondo, finanche dove i libri stessi non dicono e la scuola si rarefà nei mille problemi di tutti i giorni.Autore di molti libri e saggi sulla lingua italiana, mi pare doveroso in questo contesto ricordare L'ora di italiano. Scuola e materie umanistiche, edito da Laterza di Bari nel 2010, incidentalmente data anche della sua nomina a Vicepresidente della Società Dante Alighieri.Nella premessa al piccolo saggio, Serianni scrive: Il mio mestiere consiste, oltre che nell'occuparmi di storia della lingua italiana, nell'insegnare all'università. Ma se ho deciso di scrivere questo libro, quasi tutto incentrato sulla scuola, è perché non ho mai avvertito grande differenza tra i vari segmenti didattici, almeno tra quelli contigui: al mondo dell'istruzione, in particolare quella superiore, ho sempre guardato con interesse professionale . . . il professore e la professoressa di italiano hanno il compito istituzionale di costruire competenze, trasmettere saperi e sviluppare sensibilità in due àmbiti assai diversi: la letteratura e la lingua.Per chi abbia avuto la fortuna di assistere a qualche sua lezione sa cosa vuol dire tutto ciò: l'assimilazione del testo nel contesto entro cui la parola vive, la capacità di connettere i significati, il lento ma logico procedere dei suoi ragionamenti, la deduzione dialogante e le conclusioni sintetiche hanno fatto del suo metodo un fortunato sistema disciplinato e replicabile. Oltre che in Giuseppe Patota, anche tutti gli altri suoi migliori allievi che lo hanno adottato, ad iniziare da Giuseppe Antonelli (Ordinario di Linguistica all'Università di Pavia) a Matteo Motolese (Ordinario di Linguistica italiana all'Università di Roma “La Sapienza”), a Stefano Telve (Ordinario di Linguistica italiana all'Università di Viterbo “La Tuscia”) e Lucilla Pizzoli (Docente di Linguistica italiana presso l'Unint di Roma). Ma non è che l'inizio di un lunghissimo e fortunato elenco.L'Ora di italiano rimane ad oggi una lettura indispensabile per tutti coloro che vogliano comprendere il valore che ebbero la Lingua e la Scuola per Serianni. Non lo strutturalismo di De Saussure, né di Jakobson o il sociolinguismo di De Mauro, per riflettere sul sistema linguistico, aspetti teorici rimasti ai margini dei suoi studi, ma la storia è stata la vera base delle sue analisi. La storia, materia così incline alla sua vocazione empirica, “disciplina che si avvale dei singoli sviluppi più che delle strutture” e che meglio si adattava al carattere pratico del suo metodo. A tal riguardo rimasi colpito da uno dei suoi ultimi interventi a Palazzo Firenze, la sede romana della Società Dante Alighieri, sull'uso del dialetto romanesco del Belli e Trilussa nei fumetti di Zero Calcare. Alle polemiche seguite sulla stampa nazionale, Luca Serianni oppose un ragionamento lucido e pragmatico, affermando cheQuindi nessun processo all'uso del vernacolo, né da accademico, né da purista il quale non è mai stato: la lingua è un organismo vivo—sembra ancora di sentirlo—alla ricerca della propria regola e non il contrario, affermava lo studioso. La lingua muta con il mutare dei contesti entro cui si contamina e di conseguenza contamina anche il parlato, creando i propri percorsi alternativi e tuttavia validi come fanno nel corpo umano le vene di fronte a zone otturate (vedi il caso del Congiuntivo, n.d.r).A tal proposito non si può non scorrere ancora qualche riga estratta dalla sua Ora di italiano a proposito del dettato grammaticale e del congiuntivo nel suo valore ai fini della scrittura e del corretto uso del linguaggio. Autore di una grammatica per le scuole, Serianni ha sentito tutto il peso delle restrizioni e delle requisitorie a cui fu sottoposta la disciplina da parte di severi linguisti verso gli anni Sessanta e Settanta, proponendo col tempo una revisione della norma. Scrive Serianni a proposito di congiuntivo: Ci si lamenta, non sempre a proposito, della decadenza del congiuntivo; ma poi non si pensa di illustrare—con giovamento sia per la prassi linguistica sia per la riflessione sulla lingua—tipiche situazioni di dubbio. Vediamone una: perché si dice ‘vorrei che tu studiassi’, con apparente violazione della correlazione dei tempi (vorrei è un presente e ci si aspetterebbe nella completiva il congiuntivo presente, come in ‘voglio che tu studi’). Perché il condizionale di volere e di altri verbi indicanti un desiderio o un'ispirazione richiede la reggenza tipica dei verbi al passato: se usa il condizionale, il parlante mostra di credere poco alla realizzabilità del proprio desiderio, lo dà quasi come se fosse già alle spalle (quindi: ‘vorrei che tu studiassi’, e sono convinto che la mia autorità ti costringerà a farlo). Invece, con verbi appartenenti ad altre aree semantiche, l'accordo è quello consueto, col presente in reggente e subordinata: ‘Direi che a quest'ora si possa (non ‘si potesse’) anche incominciare’ (è una semplice opinione, espressa al condizionale per ragioni di cortesia).Questo in poche, ma chiare parole. Il suo pensiero, la sua analisi pratica dei fatti, delle norme, dei contesti, delle regole. Tutto è collegabile alla realtà, nulla la prescinde: le leggi (grammaticali) sono fatte dagli uomini per gli uomini e abitano la loro vita, unendosi praticamente all'uso che una lingua fa di se stessa per essere quanto più vicina al mondo reale. Per un accademico della Crusca, un punto di vista sicuramente originale rispetto ad un concerto di voci sempre rivolto alla custodia della norma e della tradizione. Un cruscante riformista, si direbbe, leggendo questi suoi pensieri. Ciò vale per il congiuntivo, per il gerundio, per il “se stesso” senza il se accentato e per molte altre regole derivate dall'analisi dei contesti entro cui l'uso determina la regola e la muta.La lingua nella storia italiana o la storia della lingua italiana? Questo interrogativo sorse allorché all'inizio del 2000 iniziammo a discutere con lui e la squadra dei suoi allievi (ancora Antonelli, Motolese, Telve e Pizzoli) il programma della prima mostra della lingua italiana da inaugurarsi agli Uffizi di Firenze. Il progetto era nato molti anni prima in seno all'Ufficio di Presidenza della Società Dante Alighieri retta allora dall'etruscologo Massimo Pallottino. Le difficoltà organizzative, la mancanza di fondi, la diversità delle opinioni dei componenti del Comitato scientifico (soprattutto tra Aurelio Roncaglia e Ignazio Baldelli), la complessità della logistica, la mancanza di fondi, avevano paralizzato ogni avanzamento del progetto. In più, far comprendere agli eventuali sponsor della mostra cosa fosse realmente un'esposizione di materiali linguistici e non di opere d'arte, sembrava essere diventato un ostacolo quasi insuperabile. Con la nuova presidenza di Bruno Bottai e grazie all'aiuto del direttore della Galleria degli Uffizi, Antonio Paolucci, già Ministro dei Beni Culturali nel 1996, i nodi via via si sciolsero e Serianni con i suoi ebbero strada libera verso la costituzione del nuovo programma che prevedeva una quantità straordinaria di oggetti, documenti e materiali da portare per la prima volta all'attenzione del grande pubblico italiano. Si partiva dal Placito capuano, quello in cui viene scritto in un italiano arcaico: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contiene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”. Una testimonianza incredibile da mettere alla portata del visitatore insieme ad altri eccezionali documenti. La mostra fu intitolata a un celebre verso di Dante, “Dove il sì suona” (Inf. XXXIII), con il quale il poeta fiorentino si riferisce agli italiani, in un'epoca in cui l'Italia era ancora un concetto di là da venire. La mostra venne inaugurata a Firenze dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 13 marzo del 2003, qualche giorno prima che scoppiasse la guerra in Iraq. Il percorso espositivo, inoltre, illustrava, nei suoi diversi aspetti, l'evoluzione della lingua italiana nei secoli, dalle origini fino ai giorni nostri, ripercorrendo le differenze legate alle diverse epoche, alle diverse aree geografiche, ai diversi usi dell'italiano, il suo stretto legame con la cultura nazionale e i fecondi scambi con le tradizioni di altre grandi lingue di cultura.Dunque, non una storia tradizionale della lingua di Dante, ma il lungo percorso da essa compiuto nella storia d'Italia e nel resto del mondo. Questo era stato il suo disegno e questo furono in grado di realizzare eccellentemente i suoi collaboratori per conto della Società Dante Alighieri. Iniziativa di enorme successo che venne poi replicata al Museo di Zurigo nel 2005 e in forma più ridotta in molte altre sedi della rete estera della società. Oggi una parte di ciò che resta dell'esposizione è visitabile ancora nelle sale di Palazzo Firenze a Roma.Infine, mi sia qui consentito di ricordare l'impegno di Serianni per lo sviluppo della certificazione linguistica PLIDA, acronimo che sta per Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri, oggi una realtà mondiale di successo e sinonimo di garanzia del livello di apprendimento linguistico da parte di discenti stranieri. Fino al 1999 la Società Dante Alighieri aveva affidato parte di questo compito istituzionale ad un Consorzio straniero E.C.L. con testa a Pecs in Ungheria e cassa a Oxford in Inghilterra. Prima tra i contribuenti, la “Dante Alighieri” non vedeva soddisfatte le esigenze di innovazione glottodidattica, né di sviluppo organizzativo. Fu così che chiesi a Serianni di sostenermi nella riorganizzazione della squadra di specialisti per dare vita ad una certificazione tutta italiana pari a quella delle università per Stranieri di Siena e di Perugia. Il progetto iniziale venne affidato alle responsabilità di Barbara Turchetta, un'eccellente glottodidatta proveniente dall'Università della Tuscia di Viterbo, allora retta dal dinamico e brillante rettore Marco Mancini da cui avemmo i primi sostegni a livello scientifico e organizzativo. Il successo venne in seguito, grazie all'adesione crescente della rete estera della Società Dante Alighieri e anche dalle necessità d'uso che tale certificato andava riscontrando presso i ministeri del Lavoro e dell'Interno per l'integrazione degli immigrati extracomunitari. Livello A2 per i lavoratori in ingressi e per gli stranieri lungo soggiornanti, B1 per la cittadinanza, B1 per ingresso di studenti stranieri nelle nostre università, B2 per i giovani cinesi per l'attuazione del Progetto Marco Polo/Turandot e molte altre applicazioni ancora hanno fatto del PLIDA uno dei primi certificati del sistema italiano fino a confluire nella CLIQ, Consorzio Lingua Italiana di Qualità, composto dalle università di Siena e Perugia stranieri, Roma Tre e la stessa “Dante Alighieri”.Del Comitato Scientifico che ha retto e ne ha garantito l'attuazione dei programmi, Luca Serianni è stato Presidente fino al giorno della sua morte e in suo onore verranno mantenuti gli obiettivi previsti e gli impegni già presi affinché si possa proseguire senza altri dolorosi strappi.Il Presidente della Società, Andrea Riccardi, grande estimatore del collega e vicepresidente dal 2010, sul quotidiano L'Avvenire ha tracciato un lucido e somigliante ritratto, parlando di unCon Serianni va dunque via un grande studioso e si chiude in tal modo una delle pagine più chiare della storia della lingua italiana, quella che dagli anni Ottanta in avanti ha progredito nelle scoperte, regolato la norma, ampliato i nostri orizzonti letterari oltre i confini nazionali e conferito agli studi umanistici un rigore ampio e condiviso come mai era accaduto prima. Ne è riprova la moltitudine di studiosi e di allievi formatisi sotto la sua guida, dei tanti estimatori stranieri, delle pubblicazioni e delle idee che sono circolate nel mondo grazie al suo magistero. Era nella “Dante Alighieri” perché convinto che non c’è paese, nazione, identità che possa dirsi avulsa dalle altre, contaminata dal confronto dialettico, assorbibile nel più ampio concerto di voci.

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